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La Zuppa di Primavera di Carpineto


Le donne di Carpineto si svegliavano all’alba e raccoglievano le erbe e piante selvatiche per preparare la zuppa di primavera.

Carpineto è una frazione collinare del comune di Fisciano, famosa per il Santuario di San Michele Arcangelo, la cui origine si fa addirittura risalire ai primi secoli dell’affermazione del cristianesimo in Campania.

Qui, in questa frazione immersa tra i boschi, le massaie del luogo, preparano in primavera una gustosa zuppa a base di ortaggi ed erbe spontanee che raccolgono nei boschi.

Pratolina, piantaggine, tarassaco, erba girardina, acetosa, achillea, edera terrestre, ortica e centocchio, e tante altre dai nomi curiosi, che le signore del posto, conoscono e sanno dove trovare. Questa conoscenza delle piante selvatiche, fu molto utile in tempo di guerra, quando il cibo scarseggiava e trovare un melo o un pero selvatico voleva dire potersi sfamare per giorni. Ovviamente a queste erbe vengono aggiunti, oggi, ortaggi coltivati, quali piselli, cipolle, patate e per chi gradisce anche un pezzo di guanciale, messo a stufare lentamente, affinché ceda tutto il suo sapore.

La carne di maiale essiccata, non mancava mai nelle cucine contadine ed andava ad impreziosire zuppe e primi piatti, insieme ad una robusta spolverata del pecorino locale. Altri formaggi come ad esempio il parmigiano, non facevano parte della dispensa tradizionale delle famiglie del posto, in quanto consumavano solo quello che producevano. Anche l’olio extravergine di oliva, considerato un alimento di pregio, spesso veniva sostituito dalla più economica sugna, che era la base del soffritto di pasta e fagioli e pasta e patate.

Ritornando alla zuppa di primavera, le donne di Carpineto si svegliavano all’alba e raccoglievano le erbe primaverili, ancora bagnate di rugiada, dopo averle riposte con cura in una cesta di vimini, tornavano a casa e dopo averle lavate e mondate delle parti più dure, le mettevano sul fuoco del camino in un orcio di terracotta insieme agli altri ingredienti e lasciavano stufare lentamente. Una volta pronta la zuppa veniva accompagnata a fette di pane raffermo, appena scottate sul fuoco e un generoso bicchiere di rosso locale. I più fortunati l’accompagnavano con un pezzo di primo sale di pecora o una salsiccia stagionata, sopravvissuta ai pranzi pasquali.

Una tradizione oggi quasi scomparsa, perché mancano tra le massaie più giovani chi sa riconoscere le erbe selvatiche e sa utilizzarle per preparare zuppe e decotti, buoni e salutari, come facevano le loro nonne.

 

Autore: Marco Contursi

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