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L'uccisione del maiale: i passaggi del rito contadino


Per ottenere salumi ed altri prodotti finiti dalla carne di suino occorrono diversi passaggi, a partire dall’uccisione del maiale, che secondo l'antico rito contadino avveniva tra i mesi di gennaio e febbraio. Un momento che univa le famiglie e aveva un valore sociale, ma che oggi sta ormai scomparendo.

L’uccisione del maiale tra gennaio e febbraio è un rito contadino la cui origine si perde nella notte dei tempi. Venivano invitati parenti ed amici, con cui condividere le ore di lavoro e il pasto, offerto dal suino appena defunto. Si macellava con la luna calante, in una giornata di freddo asciutto. Il suino veniva ucciso da chi lo aveva allevato così non c’era il trauma da stress dovuto alla presenza di estranei.

Un taglio preciso alle vene del collo, poiché doveva dissanguarsi completamente. La carcassa veniva quindi lavata e poi si procedeva con la divisione a mezzene e poi dei vari tagli anatomici, mentre le donne iniziavano a tritare la carne che sarebbe stata usata per fare i salami e le salsicce, sia fresche che da stagionare. Fondamentale non rompere gli organi digestivi per evitare la contaminazione della carne da parte del materiale fecale. Le frattaglie e i ritagli delle parti più sanguigne venivano subito cotti con cipolle, peperoni sotto aceto e patate e costituivano il pasto di coloro che lavoravano il maiale. Il vino rosso corposo non mancava mai. Alcuni preferivano iniziare subito lo sfascio, altri aspettare 24 ore, tempo in cui la carcassa riposava all’aria aperta, da qui la necessità che ci fosse un freddo secco.

 

Dopo la divisione iniziava da parte del norcino più esperto la lavorazione di pancette, capicolli, prosciutti, i prodotti destinati ad una lunga stagionatura. Fondamentale dosare bene il sale, troppo poco avrebbe fatto perdere il prodotto, troppo avrebbe reso salato e quindi immangiabile il salume. Chi non sapeva fare i salumi si affidava a norcini di professione che giravano le cascine e prestavano la loro opera, venendo ricompensati con denaro e prodotti agricoli. La sugna, il pannicolo adiposo dei surreni, veniva messo a bollire a fuoco lentissimo in una pentola fino a sciogliersi del tutto, e il risultato era una parte liquida che solidificatasi diventava lo strutto, e una solida, i ciccioli. Lo strutto sarebbe stato usato in cucina, per friggere o donare fragranza a preparazioni dolci o salate, i ciccioli sarebbero finiti in tortani e pizze fritte.

Nulla del maiale doveva essere buttato: zampe, orecchie e muso, finivano sotto sale e sarebbero stati usati per insaporire minestre di verdure e legumi, il sangue veniva usato per il sanguinaccio, preparazione dolce, in cui intingere le chiacchiere. La vescica sarebbe stata usata come contenitore per la sugna, mentre le interiora (trachea, polmone, cuore, milza,) sarebbero stati cucinati con pomodoro e tanto peperoncino, diventando il soffritto di maiale.

C’era anche un calendario per consumare i vari salumi, si iniziava dalle salsicce a febbraio, a marzo e aprile le pancette, a maggio le soppressate, poi a giugno, festa della mietitura i capicolli, mentre i prosciutti sarebbero stati aperti almeno un anno dopo. Era un momento dal forte valore sociale, in cui le famiglie si ritrovavano e collaboravano.

Un rito che oggi va sempre più scomparendo, distrutto da leggi restrittive e dalla scomparsa di una civiltà contadina, sempre più soppiantata da un modello di progresso che poi nei fatti non è tale.

Autore: Marco Contursi

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