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Strategie alimentari che migliorano la qualità del latte


«Siamo quello che mangiamo!»: questo modo di dire vale anche per gli animali e per i prodotti che da sempre ne ricaviamo.

Riguardo il latte, numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che la concentrazione e le caratteristiche chimiche dei suoi nutrienti (grassi, proteine, minerali, vitamine) sono fortemente influenzate dall’alimentazione. Cambiamenti quanti-qualitativi delle razioni somministrate agli animali in produzione possono indurre, anche nel breve periodo, significative variazioni delle caratteristiche nutrizionali del latte, e quindi dei suoi derivati, specialmente nei ruminanti dove i piani alimentari sono notevolmente diversificati. Le caratteristiche peculiari del latte derivano dall’attività svolta dai microrganismi presenti nel rumine (batteri, funghi, protozoi), che sono in grado di modificare in modo sostanziale i nutrienti durante i processi di fermentazione, sintetizzando nuove molecole.

La componente del latte che è possibile cambiare in modo più efficace attraverso la dieta è sicuramente la frazione lipidica, che oltre ad apportare energia e garantire la presenza di una serie di molecole bioattive liposolubili, è caratterizzata da un diversificato profilo in acidi grassi, alcuni benefici per la salute dell’uomo [acido linoleico coniugato (CLA), acidi grassi polinsaturi (PUFA), famiglie di PUFA della serie n3 e n6, acido linoeico (LA), acido α-linolenico (LNA)] altri meno [acidi grassi saturi (SFA), acidi grassi trans). Diversi sono i fattori della razione che possono modificare, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, i lipidi del latte:

  • rapporto foraggi:concentrati (F:C): l’equilibrio fra carboidrati strutturali (fibra) e non strutturali (amido) è l’aspetto più importante. Un elevato consumo di foraggi favorisce la crescita microbica ruminale dei batteri cellulosolitici, che provvedono (in funzione anche della lignificazione della fibra) ad attaccare la componente lipidica e favorire l’idrogenazione degli acidi grassi insaturi presenti. Quando il rapporto F:C supera il 60/40 non si osservano variazioni significative, ma valori inferiori determinano condizioni sfavorevoli alla crescita e allo sviluppo di batteri cellulosolitici a vantaggio dei microrganismi che attaccano proteine e amido. In questo caso, la quota di acidi grassi di origine microbica si impoverisce di acidi grassi iso-ramificati e di quelli a catena dispari (precursori dei PUFA) a favore di quelli ante-iso, che invece sono preferenzialmente sintetizzati da batteri amilolitici. Inoltre, l’elevata presenza di carboidrati velocemente fermentescibili (concentrati) provoca l’abbassamento del pH ruminale e, quindi, una riduzione dei processi di bioidrogenazione dell’LA e dell’LNA e una maggiore formazione di acidi grassi di tipo trans con doppi legami. Questi ultimi limitano a livello mammario l’espressione genica degli enzimi che sintetizzano il grasso; ne deriva una riduzione della percentuale di lipidi nel latte e una maggiore presenza di acidi grassi trans. Infine, gli elevati apporti di concentrati energetici (es. cereali) arricchiscono il latte di acidi grassi della serie n6, peggiorando il rapporto n6:n3.
  • impiego del pascolo: il foraggio fresco contiene una percentuale molto bassa (1-3%) di lipidi grezzi, di cui solo una piccola parte, tra l’altro molto variabile (dal 20 al 60%), è rappresentata dagli acidi grassi. Una dieta basata prevalentemente sull’assunzione di erba fresca, modifica in modo consistente il profilo in acidi grassi del latte rispetto ad una dieta unifeed. Inoltre, il latte ottenuto da animali allevati al pascolo è caratterizzato da un rapporto n6:n3 molto più equilibrato. Infine, l’uso del foraggio fresco sostiene un miglior rapporto SFA e PUFA a favore di questi ultimi e garantisce un maggior apporto di CLA;
  • tipo di foraggio: è stato osservato che il profilo acidico del grasso del latte migliora notevolmente (aumento di PUFA e LNA) quando le vacche sono alimentate con foraggi tagliati precocemente e con specie floristiche specifiche (Leodontus hispidus, Lotus corniculatus, Trifolium, Sulla) rispettivamente. Anche i sistemi di conservazione influenzano la qualità del grasso del foraggio: durante l’affienamento, il foraggio può perdere una quota di foglie, la parte botanica della pianta più ricca in acidi grassi; inoltre, durante i fenomeni ossidativi che iniziano immediatamente dopo il taglio in campo e procedono intensamente durante la fase di essiccazione si perde una quota di PUFA. La quota di PUFA (LNA e LA, in particolare) diminuisce anche se il foraggio viene sottoposto all’insilamento, durante il quale i fenomeni ossidativi sono anche più intensi. Inoltre, la presenza di sostanze polifenoliche nei foraggi (es. tannini) è in grado di modificare, sia interferendo con le bioidrogenazioni ruminali sia complessando la proteina alimentare, la qualità della frazione lipidica assorbita a livello intestinale.
  • supplementi lipidici: oltre a fornire energia, possono modificare il profilo in acidi grassi del latte; il loro profilo acidico e la forma con la quale si somministrano giocano un ruolo importante. L’integrazione delle diete con piante oleaginose come il girasole, la soia, il colza ed il lino favorirebbero l’aumento di CLA nel grasso del latte, soprattutto se vengono somministrati come oli o ancora di più se i semi sono estrusi, micronizzati o tostati; i semi integrali, invece, non modificano la concentrazione di CLA, perché gli acidi grassi contenuti all’interno non sono accessibili ai batteri. Alcuni studi hanno mostrato che la percentuale di CLA nel latte è proporzionale alla presenza di CLA nella razione, ma per ottenere questo effetto è necessario proteggerli da eventuali riduzioni a livello ruminale (es. incapsulamento in una matrice proteica). Anche i supplementi lipidici particolarmente ricchi in LA favoriscono la sintesi di CLA.

È ampiamente risaputo che il tenore proteico e il profilo caseinico del latte sono influenzati da aspetti alimentari, anche se in misura minore rispetto alla componente lipidica. Per migliorare la quantità e la qualità della proteina nel latte, le principali strategie alimentari da adottare devono tendere a migliorare la disponibilità di proteina a livello duodenale, potenzialmente utilizzabile dalla ghiandola mammaria per la sintesi di proteina che sarà riversata nel latte. Occorre, dunque:

  • aumentare la concentrazione energetica della razione (maggiore disponibilità di carboidrati fermentescibili), in modo da stimolare la sintesi di proteina batterica da parte dei microorganismi ruminali;
  • somministrare un adeguato rapporto tra proteina degradabile e proteina by-pass a livello ruminale (ottimale 65:35);
  • utilizzare fonti proteiche caratterizzate da un elevato valore biologico (profilo amminoacidico) oppure impiegare aminoacidi rumino-protetti (principalmente lisina e metionina).

Insieme alla tipologia di razione somministrata agli animali, è importante considerare anche la forma di allevamento (intensiva, semi-intensiva, estensiva, biologica, ecc.) e il tipo di stabulazione (fissa, libera, uso del pascolo, ecc.). L’effetto del pascolo sul contenuto proteico del latte risulta poco chiaro: alcune ricerche evidenziano che il pascolamento favorisce un aumento del tenore proteico del latte, mentre altre riportano un effetto negativo. Quest’ultimo sarebbe dovuto ad un possibile bilancio energetico negativo della bovina, che si ripercuote negativamente sulla quantità di nutrienti trasferiti nel latte; infatti, il pascolo può migliorare il tenore proteico del latte se la razione a base di erba fresca è opportunamente integrata con concentrati.

La concentrazione dei macro-elementi minerali presenti nel latte (Ca, P, Mg, K, Na, Cl, S) non sembra essere significativamente influenzata dai piani alimentari somministrati agli animali, a differenza dei micro-elementi minerali. Tra questi ultimi c’è il Selenio, di grande interesse per il suo importante ruolo come antiossidante e perché coinvolto nel corretto funzionamento della tiroide. La sua concentrazione nel latte bovino varia a seconda del suo contenuto nel foraggio e nel suolo. Inoltre, il Se organico (sotto forma di lievito) è preferibile a quello inorganico (sotto forma di sale), in quanto risulta essere maggiormente trasferibile nel latte (carry-over più elevato).

Nel latte bovino la concentrazione delle vitamine più rappresentate (A, E, B1, B2, B6, C) è ampiamente condizionata dai piani alimentari somministrati agli animali. In particolare, l’uso del foraggio fresco (pascolo o silo erba) favorisce la presenza del retinolo (vit. A), dell’α-tocoferolo (vit. E), della piridossamina (vit. B6) e dell’acido folico. Se invece la dieta è basata su fieno, i fenomeni di ossidazione che avvengono durante l’essiccazione e la conservazione del foraggio concorrono a ridurre buona parte dei loro precursori. L’inclusione nella dieta di semi di lino integrali favorisce l’aumento della vit. A, così come l’integrazione diretta di supplementi vitaminici aumenta la concentrazione di vit. E e gli antiossidanti quella dell’acido folico. La concentrazione di menachinone (vit. K) nel latte, così come delle altre vitamine idrosolubili (PP, complesso B), è fortemente connessa con la dieta dell’animale perché sintetizzata della microflora del rumine, ma solo se le condizioni in questo comparto sono favorevoli.

Non tutti i latti, dunque, sono uguali. Rivolgendo particolare attenzione alla dieta degli animali è possibile esaltarne alcune caratteristiche nutrizionali. In linea di massima, l’adeguata copertura dei fabbisogni degli animali e l’integrazione con nutrienti specifici, ma ancor di più l’impiego del foraggio fresco ingerito al pascolo favorisce l’arricchimento del latte in molti nutrienti. Numerosi sono gli studi scientifici sempre in corso per identificare molecole bioattive presenti nel latte che possono aumentare grazie a piani alimentari specifici.

Autore: Serena Calabrò

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