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I grassi della carne: alimentazione dei ruminanti e salute dell'uomo


La carne e i suoi livelli di consumo da parte dell’uomo generano molta attenzione, sia in ambito di ricerca scientifica che presso l’opinione pubblica, relativamente a benefici e rischi.

La carne e i prodotti che ne derivano, sono un’importante fonte di energia, di sostanze azotate ad elevato valore biologico (es. creatina, fosfocreatina, basi puriniche, carnosina, carnitina, taurina) e di altri micronutrienti (es. ferro, zinco, vitamine del gruppo B), ma negli ultimi anni è sotto osservazione perché potenzialmente nociva per la salute umana: eccessivi consumi di carne, specialmente rossa, contribuirebbero a causare malattie cardiovascolari e alcune forme di cancro.

Tutti gli alimenti di origine animale che da sempre rientrano dieta dell’uomo (carne, latte, pesce, uova) hanno una componente lipidica più o meno considerevole. Fino a qualche decina di anni fa tale frazione era considerata una componente desiderabile visto il tipo di vita che conducevano i nostri antenati (lavoro e trasporti erano affidati all’apparato muscolo-scheletrico); era infatti necessaria un’elevata concentrazione energetica della dieta, essendo questa molto spesso scarsa in termini di quantità. Inoltre, l’incidenza delle malattie cardiovascolari, dovute all’ipercolesterolemia era più bassa, in relazione l’aspettativa media di vita più breve. Al giorno d’oggi, con una vita media più lunga il sistema vascolare è sottoposto più a lungo all’eventualità di aterogenesi e trombogenesi; la limitata attività fisica associata ad una alimentazione ipercalorica, porta ad una maggiore diffusione dell’obesità, con le relative conseguenze sullo stato di salute.

Tessuto adiposo e componente lipidica della carne
Nelle carni, oltre al tessuto muscolare composto di fibre muscolari, che con la crescita e l’esercizio fisico aumentano in lunghezza e in larghezza, è presente il tessuto adiposo formato da adipociti. Nei giovani, il tessuto adiposo si accumula intorno ai visceri, tra i muscoli, tra i fasci di fibre e tra le fibre muscolari (grasso di marezzatura), mentre nella fase d’ingrasso aumenta nel sottocute, a livello perirenale e omentale; questo tipo di grasso è detto grasso di deposito. Nelle membrane delle fibre muscolari si trova, invece, il così detto grasso funzionale, costituito da fosfolipidi e da colesterolo. Questi ultimi hanno notevole importanza nutrizionale ed il loro contenuto nel muscolo è tanto più elevato quanto maggiore è la percentuale di fibre rosse che lo compongono. I fosfolipidi contengono molti acidi grassi insaturi e polinsaturi, i principali substrati per l’ossidazione lipidica, da cui derivano composti volatili che determinano lo sviluppo di odori sgradevoli nella carne, ma anche degli aromi nella carne cotta. Quindi i fosfolipidi possono influenzare positivamente e/o negativamente la qualità organolettica e nutrizionale della carne e dei prodotti derivati. I muscoli rossi, caratterizzati da una maggiore quantità di fosfolipidi, mostrano una composizione acidica più suscettibile all’ossidazione rispetto ai muscoli bianchi.
I lipidi presenti nella carne sono rappresentati da trigliceridi, di-gliceridi e mono-gliceridi e, in concentrazione minore, da fosfolipidi. Il loro livello è variabile (2-8%) e dipende dal contenuto medio di grasso nella carcassa e nel sottocute, dal tipo di taglio e dalla specie e razza considerata. I lipidi della carne contengono mediamente meno del 50% di acidi grassi saturi (SFA) di cui circa il 25-35% sono a media catena (meno di 16 atomi di carbonio) ed oltre il 50% di acidi grassi insaturi, di cui circa 40% monoinsaturi (MUFA) e circa 10% polinsaturi (PUFA).
Le diverse componenti lipidiche (colesterolo, SFA, PUFA, n3-n6, CLA, acidi grassi trans, AGR) hanno ruoli dietetico-nutrizionali diversificati e le loro proporzioni possono essere in parte modificate grazie all’impiego di piani alimentari specifici.

Il colesterolo buono e cattivo
Le funzioni del colesterolo sono estremamente rilevanti, in quanto questa molecola è componente della membrana cellulare e perché appartiene alla stessa catena metabolica che porta alla sintesi della vitamina D, degli ormoni steroidei e degli acidi biliari. La maggior parte del colesterolo si trova nel cervello, nel sistema nervoso periferico, nel tessuto connettivo, nei muscoli, nella pelle, una parte minore nel sangue. La concentrazione ematica del colesterolo nell’uomo, che in condizioni normali per evitare il rischio di malattie cardio-vascolari non deve superare i 200 mg/ml, è legata in larga misura alla predisposizione genetica e agli interventi sulla dieta. L’organismo ricava il colesterolo principalmente dal metabolismo di glucidi, lipidi e protidi che avviene a livello epatico (colesterolo endogeno) ma anche dall’assorbimento intestinale degli alimenti, e dalla bile, (colesterolo esogeno). Il trasporto del colesterolo nell’organismo viene esercitato dalle proteine a bassa densità (LDL, Low Density Lipoproteins, o colesterolo cattivo) che veicolano il colesterolo dal fegato agli organi e apparati periferici e dalle lipoproteine ad alta densità (HDL, High Density Lipoproteins o colesterolo buono) che allontanano il lipide dalla periferia riportandolo nella sede di accumulo nel fegato. Oggi il ruolo del colesterolo degli alimenti è molto più conosciuto rispetto al passato, pertanto, la sua pericolosità è in parte circoscritta. Più che un pericolo costituisce un problema perché, data la sua natura di lipide insaturo, è facilmente ossidabile e i Prodotti di Ossidazione del Colesterolo (COPs) sono molto insidiosi, perché inodori e, quindi, non rilevabili.

Acidi grassi saturi (SFA), monoinsaturi (MUFA) e polinsaturi (PUFA)
Nella carne, uno degli aspetti più temuti relativamente alla frazione lipidica è l’apporto di alcuni SFA ed il loro effetto sulla concentrazione ematica del colesterolo. Gli acidi grassi saturi con catena carboniosa < 10 atomi di carbonio e l’acido stearico (C 18:0) non influenzano il tasso ematico di colesterolo; invece, gli acidi laurico (C 12:0), miristico (C14:0) e palmitico (C16:0) aumentano la colesterolemia totale e il tasso ematico del colesterolo LDL, mentre i PUFA avrebbero un effetto opposto. Per questo motivo FAO e OMS raccomandano un contributo massimo di SFA, rispetto al contenuto calorico totale della dieta, pari a del 7-10%. I MUFA, tra cui il più rappresentato è l’acido oleico (C18: cis 9), permettono la diminuzione del colesterolo LDL, senza far diminuire il colesterolo HDL, migliorano quindi il rapporto LDL/HDL e abbassano, di conseguenza, la colesterolemia totale.
Oltre al ruolo sul colesterolo, i PUFA contengono acidi grassi essenziali, quali acido linoleico (LA, C18:2 n-6) e alfa-linolenico (ALA, C18:3 n-3), importanti per i prodotti che da essi derivano, acidi arachidonico (ARA, C20:4 n-6), eicosapentanoico (EPA, C20:5 n-3) e docosaesanoico (DHA, C22:6 n-3) che come ampiamente dimostrato, migliorano la funzione arteriosa ed endoteliale, riducono l’aggregazione piastrinica e la pressione cardiaca.

Rapporto n-6/n-3
Tra i PUFA, gli acidi grassi della serie n-3 e n-6 hanno un ruolo nutraceutico di considerevole importanza. Essi derivano dall’acido linoleico (n-6) e linolenico (n-3). Gli acidi grassi n-3 inducono la diminuzione del colesterolo e delle VLDL, hanno attività antinfiammatoria e pertanto premuniscono dalle lesioni delle pareti dei vasi sanguigni, svolgono un ruolo di antiaggreganti piastrinici, riducono l’adesività dei neutrofili alle cellule dell’endotelio basale, regolano la pressione arteriosa e modulano il ritmo cardiaco. Più discusso è il ruolo degli n-6., tra questi l’acido arachidonico (AA) che ha un’attività positiva durante lo sviluppo fetale, nel processo di sviluppo del sistema nervoso, ma in età adulta l’eccesso può sviluppare effetti ipercolesterolemizzanti e pro-infiammatori, quali precursori di molecole coinvolte nei processi di aterogenesi (prostaglandine, trombossani, prostacicline di tipo 1 e 2), e produrre eicosanoidi, importanti fattori di cancerogenesi.
Il rapporto n-6/n-3 è considerato un parametro molto importante per la valutazione del regime alimentare; secondo FAO e WHO dovrebbe essere pari a 4:1, sebbene il valore ottimale è spesso funzione della condizione fisiologica considerata. Attualmente detto rapporto nella dieta, soprattutto nelle popolazioni dei Paesi Occidentali, ha raggiunto valori molto elevati rispetto a circa un secolo fa, principalmente a causa dell’evoluzione dei sistemi di produzione agricola. Con la rivoluzione industriale e con l’intensivizzazione delle produzioni agricole, ivi compresi gli allevamenti animali, si è avuta una modificazione dei sistemi di alimentazione degli erbivori, introducendo nella loro dieta quantità crescenti di cereali, per aumentarne la produttività. Questo processo, se da un lato ha portato ad un netto miglioramento della sicurezza alimentare in termini di possibilità di accesso al cibo da parte della popolazione, dall’altro ha modificato profondamente le caratteristiche nutrizionali della componente lipidica delle carni rendendole più ricche in grasso e con un maggior contenuto di SFA e di PUFA n-6. Il risultato è che, rispetto alle carni con cui la specie umana si è co-evoluta, quelle attuali apportano una maggior quantità di grasso e hanno i rapporti SFA/PUFA e n-6/n-3 più elevati. Questi cambiamenti, assieme all’introduzione nella dieta dell’uomo moderno di elevate quantità di oli di semi, grassi idrogenati, zuccheri semplici raffinati, farine raffinate, sono considerati tra i maggiori fattori dietetici che predispongono allo sviluppo di alcune patologie come diabete, obesità e disturbi dell’apparato cardio-circolatorio presenti nelle società sviluppate.

I CLA, coniugati dell’acido linoleico
I lipidi intramuscolari delle carni dei ruminanti si caratterizzano anche per la presenza di una categoria di acidi grassi molto particolare: gli isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA). A questi particolari acidi grassi sono attribuite numerose attività nutraceutiche, principalmente un’inequivocabile attività anticarcinogena in esperimenti condotti su animali. Queste molecole, inoltre, sono attive contro altre patologie come l’aterosclerosi, il diabete e l’obesità, svolgendo un’azione anticolesterolemica e di protezione dalle coronaropatie. Riguardo l’attività anticarcinogena, solo gli isomeri cis9, trans 11 e trans 10, cis 12 si sono rilevati attivi. In particolare, l’acido rumenico (CLA cis-9 trans11, RA) è quello in assoluto più rappresentato nella carne dei ruminanti, in particolare nei lipidi neutri dove viene preferenzialmente esterificato. L’acido rumenico si forma durante il processo di bioidrogenazione dell’acido linoleico nel rumine, ma, la gran parte presente nel grasso della carne dei ruminanti deriva dalla sintesi endogena a partire dall’acido vaccenico, attraverso l’azione dell’enzima Stearoil-Coenzima A - Δ-9 desaturasi a livello tissutale secondo una relazione lineare.

Gli acidi grassi trans
Questo gruppo di acidi grassi si ritrova nella carne dei ruminanti perché deriva dai processi di bioidrogenazione che si verificano nel rumine a carico dei PUFA naturalmente presenti nella dieta di questi animali. Durante tale processo si tendono ad eliminare i doppi legami dei PUFA che vengono trasformati in acido stearico; come intermedi di reazione si formano acidi grassi trans, in quantità variabile in funzione della dieta, del tipo di animale e del suo stato fisiologico. L’isomero trans quantitativamente più importante è nella maggior parte dei casi l’acido vaccenico (C18:1 t11, VA), per il quale non sono dimostrati effetti negativi specifici per la salute umana. All’opposto, come già detto, diversi studi hanno messo in luce un ruolo potenzialmente positivo legato alla sua metabolizzazione per azione dell’enzima Δ-9 desaturasi, a RA il più importante fra gli isomeri dei CLA. L’argomento relativo agli acidi grassi trans è di grande rilievo, in quanto l’effetto negativo nei confronti della salute umana è ritenuto analogo o addirittura superiore a quello esercitato dagli acidi grassi saturi: aumento colesterolemia totale e colesterolo LDL, diminuzione colesterolo HDL, correlazione con patologie coronariche, azione citossica.

Gli acidi grassi ramificati (AGR)
In questo gruppo di acidi grassi la struttura presenta la catena carboniosa non lineare, ma con gruppi metile laterali (ramificazioni). La sintesi degli AGR avviene nel rumine per azione di batteri che metabolizzano gli aminoacidi isoleucina e leucina. Il crescente interesse nutrizionale riguardo agli AGR è legato al loro potenziale effetto anticarcinogeno su cellule umane, di ratto e di maiale.

Differenze tra ruminanti e monogastrici
Il più elevato contenuto di SFA nella carne dei ruminanti è legato ai processi di bioidrogenazione ruminale che si verificano a carico della frazione di acidi grassi insaturi della dieta. Da ciò ne consegue il più basso rapporto PUFA/SFA che si riscontra in tali carni ed in particolare di quelle di bovino adulto, fatta eccezione per la carne di bovini appartenenti a razze ipertrofiche. Sebbene la biosintesi di CLA a livello tissutale si abbia anche nei monogastrici la disponibilità di acido vaccenico è maggiore nei ruminanti grazie alla bioidrogenazione ruminale che con la desaturazione dell’acido vaccenico porta alla formazione del RA a livello del tessuto muscolare. Il più alto contenuto in CLA si ritrova nella carne di agnello leggermente minore è il contenuto riscontrato nelle carni bovine, mentre minimo è il contenuto nelle carni suine, equine ed avicole, fatta eccezione per la carne di tacchino.

Influenza dell’alimentazione sulla composizione dei lipidi intramuscolari
La carne è un prodotto eterogeneo e innumerevoli sono i fattori che incidono sulle sue caratteristiche chimico-fisiche e nutrizionali, tra questi specie, razza, età, esso, alimentazione, tecniche di allevamento, taglio anatomico, modalità di lavorazione e conservazione. Gli acidi grassi che costituiscono i fosfolipidi di membrana sono meno influenzati dalla dieta rispetto ai trigliceridi, sebbene si possano osservare delle differenze nel contenuto in LA e ALA in funzione di diversi regimi alimentari. Nei ruminanti, quando il regime alimentare è costituito prevalentemente da foraggi, freschi o conservati, l’isomero predominante è VA; nel caso di diete ad alto contenuto di granelle di cereali, tipiche dei regimi alimentari adottati per l’ingrasso, la proporzione dei singoli isomeri trans varia considerevolmente sia in quantità sia in qualità, caratterizzandosi per un aumento di C18:1 trans-10 e trans-9, due isomeri associati con aumenti della colesterolemia nell’uomo.

Foraggio fresco
Le piante risultano essere la fonte primaria di PUFA della serie n3 in quanto hanno la capacità di sintetizzare de novo l’acido linolenico dalla cui elongazione e desaturazione traggono origine EPA e DHA. I foraggi verdi in generale presentano un’elevata quantità di acido linolenico per cui sono in grado di rendere molto più simile la composizione acidica della frazione lipidica delle carni a quella che potevano ritrovare i nostri antenati nella carne degli animali cacciati. Il trasferimento dei PUFA n-3 dal foraggio alla carne dipende dall’aumento del livello di C18:3n3 nel foraggio e dalla riduzione delle bioidrogenaizoni a livello ruminale. L’erba del pascolo, l’erba fresca o l’insilato d’erba rispetto ai comuni concentrati presentano un maggior contenuto in acido alfa-linolenico e ciò si traduce in una più alta concentrazione in PUFA-n3 nei lipidi intramuscolari, sia in termini di ALA che di EPA e DHA. Inoltre, la maggiore concentrazione di n-3 riscontrati nella carne di animali sottoposti nel finissaggio ad una dieta ricca di foraggi, può essere sostanzialmente dovuta al minore contenuto in grasso intramuscolare riscontrabile rispetto ai soggetti sottoposti a diete molto ricche di concentrati. Sia la percentuale di foraggio verde nella dieta somministrato o direttamente pascolato dall’animale, sia la durata della somministrazione, influenzano il contenuto in acidi grassi dei lipidi intramuscolari. L’alimentazione al pascolo o con foraggi freschi ricchi di leguminose, in particolare di trifoglio, nella fase di finissaggio determinano una riduzione significativa del contenuto in SFA sia in termini di minore apporto di C16:0 che in C18:0, con un aumento del rapporto PUFA/SFA, che di riduzione di quello n-6/n-3, determinato da un aumento della quota di n-3, ed un aumento del contenuto in CLA rispetto a quanto osservato in animali alimentati con foraggi e concentrati o insilato di mais e concentrati. Risultati analoghi sono stati riscontrati anche negli ovini, e interessante appare la variabilità determinata dalla composizione floristica e stadio fenologico dei pascoli naturali.

Semi di piante oleaginose
Doversi studi hanno messo in evidenza che l’impiego di fonti di PUFA nell’allevamento intensivo può essere un metodo efficiente per aumentare il contenuto di acidi grassi polinsaturi e CLA nella frazione lipidica muscolare, benché non tutti abbiano lo stesso effetto. Fra le fonti di PUFA, il seme di girasole sembra essere quello che più di altri (lino e colza) determini un aumento del contenuto in CLA nella carne di vitelloni e di agnelli; risultati simili sono stati rilevati anche somministrando semi di cartamo. Il seme di lino non sembra determinare un incremento importante di CLA, ma a confronto con fonti lipidiche rumino-protette ricche in acido palmitico, evidenzia un significativo aumento del contenuto in CLA nella frazione lipidica della carne bovina e di agnello. Rispetto al seme di colza, il seme di lino, quando impiegato in elevate concentrazioni (18% sul concentrato) in diete caratterizzate da un basso rapporto foraggi/concentrati determina una riduzione del rapporto n-6/n-3 nella carne con un leggero aumento del contenuto in CLA. Il seme di lino estruso (11% della dieta) determina un incremento significativo del contenuto in ALA, EPA, PUFA n-3 e CLA con una riduzione del contenuto in ARA e del rapporto n-6/n-3. Anche il seme di soia estruso determina un aumento del contenuto in CLA nella frazione lipidica della carne di manzi meticci Angus. Ad influenzare l’effetto dell’impiego di fonti lipidiche non rumino-protette sulle caratteristiche della frazione lipidica della carne dei ruminanti è il rapporto foraggi/concentrati della razione: infatti l’impiego di semi soia e lino laminati hanno determinato un incremento dei CLA in diete rispettivamente a basso ed elevato rapporto foraggi/concentrati. L’effetto si riduce in diete con un basso apporto di foraggi mentre più importante è l’effetto quando il seme di lino laminato è aggiunto in diete ricche di foraggi, mettendo in evidenza come si può ipotizzare un effetto sinergico fra diete ricche di foraggi e somministrazione di PUFA. Ad influenzare l’efficacia del trattamento alimentare con lino contribuisce anche la tipologia di foraggio: il fieno di graminacee garantisce una migliore risposta in termini di sintesi di CLA rispetto agli insilati di cereali in diete caratterizzate da un rapporto foraggi/concentrati 50/50. Tuttavia, non si ha un rapporto dose/effetto fra quantità di fonte lipidica somministrata e contenuto negli acidi grassi che si intende modificare nella frazione lipidica della carne. La soia estrusa risulta avere un’efficienza maggiore del 20% rispetto all’olio di soia nel determinare un aumento della concentrazione di CLA nel grasso intramuscolare determinando anche una riduzione del contenuto in SFA e MUFA rispetto all’olio di soia. L’estrusione del seme determina, infatti, un’azione protettiva sugli acidi grassi insaturi nei confronti delle bioidrogenazioni ruminali determinandone una maggiore azione by-pass.

Gli oli vegetali
Così come i semi, anche gli oli delle piante prima citate determinano effetti simili sul contenuto in CLA nella carne. Nei bovini l’aggiunta di olio di girasole (3-6%) ad una dieta costituita da orzo e fieno ha determinato un significativo aumento del contenuto di CLA; risultati maggiori si sono riscontrati somministrandolo sia nella fase di accrescimento che nella fase di finissaggio. Buoni risultati sono stati ottenuti anche con l’impiego di olio di cartamo (6%) in ovini, dove ha determinato nella frazione lipidica della carne un incremento di CLA e di acido linoleico con una riduzione del contenuto in ALA. L’olio di colza non sembra determinare effetti significativi sul contenuto in CLA nel miuscolo Longissimus dorsi; altrettanto inconsistenti risultano essere gli effetti dell’integrazione con olio di soia.

In conclusione, sia i semi di oleaginose o proteoleaginose che gli oli da essi derivati influenzano il contenuto in CLA della carne grazie all’apporto di PUFA che fungono da substrati per i processi di isomerizzazione batterica e/o bioidrogenazione a livello ruminale. Se i lipidi risultano essere in qualche maniera rumino-protetti, i CLA non possono essere prodotti a causa della indisponibilità dei precursori. L’aggiunta di fonti di acidi grassi insaturi nella dieta, oltre a modificare il contenuto di CLA, nella frazione lipidica della carne ne modifica anche il contenuto in acidi grassi insaturi. Sia i semi oleosi che gli oli influenzano in maniera molto simile il contenuto in CLA della carne, tuttavia gli oli vegetali ricchi in PUFA non sono inclusi in quote elevate nelle diete per ruminanti per gli effetti negativi che svolgono a livello di microflora ruminale; un limite al loro impiego è dato anche dall’elevato costo e dalla loro suscettibilità all’ossidazione rispetto ai semi integrali.

Negli ultimi decenni si assistito ad un incremento di alcune patologie croniche legate alla dieta e agli stili di vita (es. sovrappeso, obesità, ipertensione, diabete, tumori), all’opposto per alcuni alimenti come la carne, l’assunzione quotidiana è nel tempo diminuita. Nonostante le ipotesi in questo campo siano molte, la relazione tra patologie e consumi moderati non è attualmente dimostrabile e gli studi scientifici portano a conclusioni non definitive, se non quelle di mantenere i consumi entro i livelli suggeriti dai modelli nutrizionali più diffusi. La strada da perseguire passa per l’alimentazione animale: molti sono gli studi scientifici hanno evidenziato la possibilità di migliorare la qualità dietetico-nutrizionale della frazione lipidica della carne adottando piani alimentari specifici.

Autore: Serena Calabrò

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